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In che modo l’Europa partecipa all’occupazione della Palestina

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Un’intervista di David Cronin

Venerdì 24 dicembre 2010 – ore 07:53

Sarah Irving – The Electronic Intifada

Nel suo nuovo libro, «L’alleanza dell’Europa con Israele: la sua partecipazione all’occupazione» («Europe’s Alliance with Israel: Aiding the Occupation »), il giornalista David Cronin traccia il groviglio della relazione dello Stato di Israele con istituzioni come l’Unione Europea e la NATO. Rivela così la malafede dell’Europa nelle sue pretese di essere una forza neutrale che sostiene i diritti elementari del popolo palestinese. Di seguito, egli risponde alle domande di Sarah Irving.

Sarah Irving: Finora si è interessato alle istituzioni e agli affari dell’Europa. Perché ha deciso di scrivere un libro sulle relazioni dell’Europa con Israele e la Palestina?

David Cronin: Per due ragioni. Innanzitutto, come membro di una «Missione per la Pace» europea, nel 2001 mi sono recato in Israele e nei territori palestinesi occupati, poco dopo gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Mi ricordo in particolare di aver assistito ad una conferenza della stampa che (l’ex primo ministro) Ariel Sharon teneva al palazzo del Re Davide a Gerusalemme e di essere stato profondamente scioccato dalla sua arroganza e dai suoi discorsi al vetriolo. Ha iniziato con l’accogliere le persone presenti nel qualcosa del tipo – non mi ricordo le esatte parole – «l’eterna capitale del popolo giudeo da 3.000 anni» senza riconoscere in alcun modo che essa era stata anche la capitale delle due altre grandi religioni monoteiste del mondo. Ha affermato di rallegrarsi ogni volta che un palestinese si faceva saltare in aria in un attentato suicida, poiché così facendo i palestinesi si sarebbero distrutti da soli. Ciò mi ha scandalizzato. Un’altra cosa mi ha enormemente stupito: ha accusato l’Europa di finanziare «il terrorismo palestinese». Non avevo ancora sentito una cosa del genere. Era una completa novità per me.

Suppongo di essere stato un po’ ingenuo pensando che non c’è fumo senza fuoco e ricavandone l’impressione che l’Unione Europea (UE) sostenesse i Palestinesi. Chris Patten era il responsabile della Commissione degli affari Esteri dell’Europa all’epoca e presentava molto chiaramente l’Europa come «un’onesta intermediaria» insistendo senza tregua sul fatto che la UE faceva tutto il possibile per far avanzare «il processo di pace»; sottolineava che la UE era il più grande donatore dell’Autorità Palestinese e che aiutava a sviluppare uno Stato palestinese embrionale. Ho preso molte di queste affermazioni per oro colato.

La svolta secondo me è stata del tutto banale. Assistevo ad una conferenza organizzata da uno dei comitati dell’ONU sulla Palestina al Parlamento Europeo di Bruxelles nel 2007 e una sessione trattava le relazioni tra la UE con Israele. Per la prima volta sono venuto a conoscenza dell’altra versione dei fatti ed ho ricevuto una solida informazione circa la radicalità della collusione tra la UE ed Israele. Fui colpito dal fatto che ci sono molti scritti – i lavori di Noam Chomsky, etc… – sulla relazione degli Stati Uniti con Israele, ma nulla, a parte qualche pubblicazione accademica, circa la relazione tra l’Europa ed Israele. Ho dunque pensato che, poiché nessun altro avrebbe scritto un libro su tale argomento, potessi farlo io.

Sarah Irving: Qual è, a Suo avviso, la più potente «leva» che possa spiegare l’attitudine dell’Europa? Lei identifica diversi elementi nel suo libro: la colpevolezza dell’olocausto, degli interessi economici, l’influenza degli Stati Uniti; quali sono le influenze principali in questo gioco di forze capitaliste e politiche?

David Cronin: È la combinazione di differenti fattori. Henry Kissinger ha detto un giorno che la UE non sarà mai un attore significativo nel Medio Oriente. Senza alcun dubbio gli Stati Uniti rimangono l’attore principale nella politica mondiale nonostante la crescita della Cina, ma la UE è lontana dal non avere alcun potere. È il principale partner commerciale di Israele ed è essa che dà il maggior aiuto all’Autorità Palestinese, cosa che le conferisce un potere economico importante.

L’associazione tra la UE ed Israele è basata sull’accordo entrato in vigore nel 2000; l’articolo 2 dell’accordo stipula che esso è condizionato al rispetto dei diritti dell’uomo. I funzionari europei pretendono che la clausola dei diritti dell’uomo non sia vincolante, anche se alcuni uomini di legge affermano che la UE la qualifichi come «elemento essenziale». Essa è chiaramente e legalmente obbligante e la UE ha il dovere di invocare questa clausola e di punire Israele qualora esso superi il limite. Per me il problema è la vigliaccheria dei nostri politici che non hanno la volontà politica di affrontare il potere egemonico degli statunitensi e degli israeliani negli affari internazionali.

Israele ha sviluppato delle strette relazioni con la UE e la NATO; in entrambi i casi è all’opera la stessa strategia, e talvolta ci sono le stesse persone a dirigere il processo. Tzipi Livni, quando era Ministro degli Affari Esteri (d’Israele), ha capito che per Israele poteva essere pericoloso dipendere unicamente dagli Stati Uniti. Lei ed i suoi consiglieri hanno compreso che c’erano degli altri poteri che sarebbe emersi nel mondo. Hanno ottenuto, nel novembre 2008, degli accordi per migliorare le relazioni di Israele con, entrambe allo stesso tempo, la UE e la NATO. Gabi Ashkenazi, il capo dell’esercito israeliano, ha fatto visita alla NATO più volte e Israele ha partecipato ad alcune sue esercitazioni militari. Nel luglio 2010, svariati soldati israeliani rimasero uccisi in un incidente di elicottero in Romania. I media non vi hanno prestato che poca attenzione, ma ciò mostra a qual punto Israele è implicato negli affari della UE e della NATO.

Sarah Irving: Il suo libro parla molto del vantaggio che Israele trae da tale relazione. Ma quale vantaggio ne trae la UE?

David Cronin: È una buona domanda poiché non è appurato che il vero interesse della UE sia di fare, coma ha fatto, il miglior amico di Israele. Vi è una scuola di pensiero – con la quale io simpatizzo – che difende l’idea secondo cui la UE farebbe meglio a dimenticare Israele e a concentrare i suoi sforzi nel migliorare le sue relazioni con gli Stati arabi. Ma i fattori decisivi sono le opportunità commerciali ed economiche.

Nel 2000, secondo l’Agenda di Lisbona1, la UE si era fissata come obiettivo ufficiale diventare, nel mondo, l’economia più avanzata basata sull’informazione. Ma mentre gli europei ne parlavano, gli israeliani vi si sono applicati e l’hanno realizzato. Intel sta mettendo a punto la prossima generazione di chip per calcolatori in Israele. Un gran numero di progressi «sexy» su internet vi sono stati sviluppati. Gli israeliani donano il 5% del loro PIL alla ricerca tecnologica, circa due volte in più rispetto agli statunitensi. L’Agenda di Lisbona aveva fissato un obiettivo del 3% che non è stato raggiunto. Dunque, l’aspetto più importante delle relazioni tra la UE ed Israele è la cooperazione scientifica. Gli israeliani fanno parte del Programma di Ricerca Scientifica della UE dagli anni ’90. Ho visto qualche cifra la scorsa settimana secondo cui essi partecipano a 800 progetti di ricerca scientifica per un valore di circa 4,3 miliardi di euro tra il 2007 ed il 2013. La burocrazia della UE è conscia del fatto che occorre avere delle buone relazioni con gli israeliani a causa della loro superiorità scientifica.

Il problema è che buona parte dei trionfi scientifici su cui Israele si affida ha uno stretto legame con l’occupazione. Come lo indico nel mio libro, Elbit (l’azienda che fabbrica i droni usati contro Gaza) e l’industria dell’aviazione israeliana figurano tra i beneficiari delle sovvenzioni della UE per la ricerca scientifica. Un contribuente europeo contribuisce dunque a sviluppare l’industria di guerra israeliana.

Sarah Irving: All’ultimo vertice della NATO, è stato annunciato un nuovo programma di missili da difesa, per la prima volta in collaborazione con la Russia, che deve apparentemente essere operato a partire da navi statunitensi basate nel Mediterraneo. Quali implicazioni comporta ciò per le relazioni tra Israele e la NATO?

David Cronin: Numerose. Se parliamo dell’attacco della Flottilla (che trasportava aiuti a Gaza), legalmente era un attacco contro la Turchia. La Mavi Marmara era una nave turca e la Turchia, che è membro della NATO, ha chiesto che l’ONU si riunisse d’urgenza dopo l’attacco. Immaginate per un istante che a far ciò fosse stata la Corea del Nord: si sarebbero scatenate le fiamme dell’inferno. Ma era Israele. Allora, benché la NATO avesse chiaramente condannato l’attacco, non c’è stata alcuna ripercussione a lungo termine. E credo anche che la Turchia non abbia cessato la sua collaborazione con Israele e che abbia utilizzato delle armi israeliane contro i curdi nel nord dell’Iraq.

Per quanto riguarda il nuovo concetto strategico della NATO ed il suo sistema di difesa antimissile, ci sono state molte discussioni relative ad una partecipazione di Israele. So che numerosi responsabili della NATO si sono recati in Israele e ci sono stati dei colloqui nella città di arrivo, vicino Tel Aviv, circa il modo con cui Israele poteva collaborare a questo progetto. Israele ha sviluppato molte tecnologie che interessano la NATO, come il sistema di intercettazione di missili battezzato Iron Dome, e così gli israeliani sono considerati degli esperti, li si consulta ed è del tutto probabile che essi giochino un ruolo attivo nel nuovo sistema di difesa che tanto eccita la NATO.

Sarah Irving: Alcune autorità, come Nicolas Sarkozy in Francia, parlano molto del programma nucleare iraniano ma non di quello di Israele. Dà credito all’«opzione Samson», la teoria seconda la quale le nazioni europee sono perfettamente coscienti della minaccia che rappresentano le armi nucleari israeliane che potrebbero distruggere qualunque capitale europea quasi senza avvertimento?

David Cronin: Occorre talvolta sottolineare l’evidenza, ma il punto più importante che la maggior parte dei commentatori non vede è lo sconcertante livello di ipocrisia che circonda questo tema. Sappiamo che Israele possiede una potenza nucleare veramente considerevole e non lo ha mai riconosciuto. A differenza dell’Iran, questo paese non ha mai firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e non autorizza alcuna ispezione delle sue istallazioni, ma diciamo agli iraniani che è loro vietato sviluppare delle capacità nucleari mentre sappiamo perfettamente che Israele le possiede già. È lampante questo «due pesi e due misure». Per quel che riguarda «l’opzione Samson», penso che sia una cosa che le autorità europee hanno probabilmente in mente. Non è un tema che ho io stesso approfondito, ma non respingo questa teoria.

Sarah Irving: Alcuni ricercatori come Daoud Almoudi di Stop The Wall hanno espresso le loro serie preoccupazioni riguardo delle zone industriali che vengono finanziate sotto forma di «aiuto» dai paesi europei. Sono anni che le colonie israeliane utilizzano una manodopera palestinese sottopagata per i loro prodotti di esportazione. Le Zone Franche situate in Africa australe o in America centrale sono spesso state dei luoghi in cui le condizioni di lavoro degli operai erano spaventose e si sono inoltre rivelate delle fonti di profitto di breve durata poiché un paese concorrente riusciva sempre ad abbassare ancor di più i suoi costi. È questo un futuro che potremo vedere in Palestina?

David Cronin: Bisogna chiedersi perché la UE sostiene così ardentemente Mahmoud Abbas e Salam Fayyad. La loro legittimità democratica è quasi nulla. Il mandato di Abbas come presidente eletto è terminato. La UE si presenta come un’istanza che appoggia i principi democratici e – a ragione – chiede ai candidati per l’entrata nell’Unione di rispettare certi standard, ma se si tratta dei Territori Palestinesi Occupati, tutto ciò viene dimenticato. La UE ha deciso di ignorare i risultati dell’elezione democratica del 2006 poiché i palestinesi, agli occhi della UE e degli Stati Uniti, avevano «mal votato».

Il casi di Salam Fayyed è particolarmente problematico. Si ha a che fare con una persona del tutto impopolare nel suo paese ma che l’Occidente adora. Bisogna domandarsi il perché, e la sola risposta che io possa dare è che egli sia completamente impregnato della visione neoliberale che regna a Washington ed a Bruxelles. Ha lavorato alla Banca Mondiale ed al FMI e, come sottolineo nel mio libro, il documento che egli ha scritto «Verso uno Stato Palestinese» somiglia molto ai programmi di aggiustamento strutturale che il FMI ha imposto alla maggior parte dell’Africa negli anni ’80 e che si prepara ad imporre nel mio paese, l’Irlanda. Qui si parla di ridurre i salari dei funzionari e le spese in generale salvo – ed è significativo! – le spese per la sicurezza, e di fare del settore privato il motore della crescita. E dunque la sua analisi è del tutto esatta, l’idea è di fare della Palestina un laboratorio di miseria a vantaggio di Israele.

Sarah Irving: Lei ha scritto per Electronic Intifada un articolo sulla partecipazione della UE al mantenimento delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, supposte iscriversi nella prospettiva della costruzione di uno Stato palestinese. A cosa si assimila, a Suo avviso, la visione europea di uno Stato palestinese? Stiamo parlando di un piccolo Stato dotato di un sistema di sicurezza draconiano e di un regime economico neoliberale?

David Cronin: Non ritengo di impiegare il termine «visione»: non sono sicuro che la UE abbia una visione. La «soluzione dei due Stati» è una sorta di mantra per la UE, ma non sono sicuro che si sia seriamente domandata cosa ciò significhi. Gli accordi di Oslo con tutti i loro difetti avevano almeno il merito di parlare di Gaza e della Cisgiordania come di una sola entità, ma attualmente è diventato quasi impossibile per un palestinese viaggiare da un territorio all’altro, e Israele controlla una parte della Cisgiordania troppo grande per un’eventuale realizzazione della soluzione dei due Stati in maniera sostenibile. Credo che in questo momento i rappresentati della UE si nascondano dietro la retorica. Non presentano alcun pensiero strategico a lungo termine che indichi dove vogliono andare, a parte rafforzare la loro relazione con Israele a spese dei palestinesi.

Bisogna ricordarsi che la UE presenta la missione della polizia COPPS (la missione di addestramento della UE in Cisgiordania) come la preparazione di una forza di polizia in vista di uno Stato palestinese indipendente, mentre questi poliziotti non hanno alcuna autorità per arrestare dei coloni israeliani e non hanno il diritto di andare nel settore C (la parte della Cisgiordania dove, secondo gli accordi di Oslo, Israele mantiene il potere di far rispettare la legge, ed il controllo delle costruzioni e dei progetti). Più del 60% della Cisgiordania non è sotto la giurisdizione di questa forza di polizia. Ci sono anche molte prove che la UE chiuda gli occhi circa le estorsioni perpetrate dalla polizia palestinese. Ci sono delle prove sulla tortura raccolte dalle organizzazioni per i diritti dell’uomo palestinesi ed è dunque abbastanza disgustoso che la UE faccia passare la sua azione come un aiuto benevolo ai palestinesi.

Sarah Irving: Uno dei problemi coi libri, è che essi possono essere superati appena usciti stampati. Vi sono dei nuovi maggiori sviluppi che vorrebbe menzionare nelle relazioni tra la UE e Israele?

David Cronin: La cosa principale è che nell’autunno 2010, Kathy Ashton, la responsabile della politica estera della UE, ha raccomandato che Israele sia elevato al rango di «partner strategico». Cosa ciò significhi esattamente non è ancora chiaro, ma sembra che Israele sarebbe considerato alla stregua di Cina o Stati Uniti nelle scala delle priorità ufficiale della UE.

La Ashton è stata un disastro nella sua relazione con Israele. Onestamente, ha fatto qualche forte dichiarazione su Gerusalemme e l’espansione delle colonie israeliane, e anche sulla pena carceraria inflitta al militare di base Abdullah Abu Rahmeh che ha sorpreso alcuni. Ma per il resto, ha trattato gli israeliani coi guanti. Si è recata più volte a Gaza, ma si è rifiutata di incontrare Hamas; ha cercato di presentare le missioni come unicamente umanitarie ed ha minimizzato la loro portata politica. Qualunque cosa si pensi di Hamas, essa ha vinto un’elezione che è stata riconosciuta come libera ed onesta dagli stessi osservatori della UE nel 2006.

È inconcepibile che Kathy Ashton vada in un posto nel mondo e si rifiuti di incontrare i leader politici locali. Quando si trovava a Gerusalemme quest’estate, ha tenuto una conferenza stampa insieme al ministro israeliano degli affari esteri Avigdor Lieberman e l’unico prigioniero per il quale ha espresso il suo interesse, almeno in pubblico, è stato Gilad Shalit. Ha completamente ignorato il fatto che, ogni anno, Israele imprigiona 700 bambini palestinesi, molto spesso solo perché hanno tirato pietre, e che di solito subiscono abusi in prigione. Ma, nella sua saggezza, Kathy Ashton non sembra interessarsi agli abusi inflitti ai bambini palestinesi; trova più interessante la sorte di un soldato – che deve certamente essere trattato con umanità ed essere liberato – ma che partecipa ad una brutale occupazione militare.

Sarah Irving: Lei termina il suo libro dicendo che la UE offre delle opportunità a coloro i quali militano per la sovranità palestinese. Quali sono a Suo avviso le tattiche più efficaci? Varrebbe la pena prendere i membri del Parlamento Europeo (MPE) come obiettivo?

David Cronin: Rispondo prima alla seconda domanda. Ero contrario al Trattato di Lisbona, ma uno dei suoi aspetti positivi è che esso ha dato maggior potere al Parlamento Europeo il quale, malgrado tutte le sue imperfezioni, è un organismo eletto direttamente. Non mi sono troppo soffermato sui dettagli nel libro, ma delle tre principale istituzioni della UE – il Consiglio dei Ministri, la Commissione Europea ed il Parlamento – è quest’ultimo ad essere il meno malleabile. Nonostante fortissime pressioni, la maggioranza dei membri del Parlamento ha appoggiato il rapporto Goldstone sull’attacco a Gaza nel 2008-2009. Più recentemente, il Parlamento Europeo ha bloccato un accordo tecnico che avrebbe reso più facile la conformità alle regole della UE per i beni industriali israeliani, tramite l’armonizzazione delle norme. È un tema abbastanza noioso e per nulla eccitante, ma il Parlamento Europeo o comunque uno dei suoi consigli ha posto delle questioni insolite ed ha ritardato il passaggio forzato di questo accordo.

Il Parlamento è senza dubbio incapace di congelare tutte le relazioni con Israele, ma può sicuramente rendergli la vita più difficile. Spetta infine ai cittadini europei fare pressione ai membri del Parlamento Europeo per costringerli a resistere alle lobby israeliane. Israele si dà ad una intensa lobbying ed esiste una rete «di amici di Israele» che trascende i partiti. È dunque molto importante che il Movimento di Solidarietà conla Palestina contrattacchi questa lobby ricca e segreta che cerca di influenzare delle istituzioni chiave.

Per rispondere all’altra domanda, e per dirla molto semplicemente e forse rudemente, la gente comune non può aspettare che i loro politici ed i loro funzionari prendano delle misure contro Israele. A mio avviso, bisogna infatti appoggiare la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS). Ma non dobbiamo dimenticarci che ciò è un mezzo tattico, non una strategia completa, e che occorre utilizzare dei mezzi tattici complementari. Israele investe molto tempo, energia e denaro per far credere che esso sia «la sola democrazia del Medio Oriente», ed il Movimento di Solidarietà con la Palestina deve mobilitare tutte le sue risorse per contrastare questa propaganda falsata.

Sarah Irving è una scrittrice freelance. Ha lavorato col Movimento di Solidarietà Internazionale in Cisgiordania nel 2001-2002 e con Olive Co-op per promuovere il commercio equo dei prodotti palestinesi e vi ha effettuato delle visite di solidarietà del 2004-2006. Scrive attualmente e tempo pieno su varie tematiche, tra cui la Palestina. Il suo primo libro, «Gaza sotto le bombe», scritto insieme a Sharyn Lock, è stato pubblicato nel gennaio 2010. Lavora ora ad una nuova edizione della guida palestinese Bradt ed a una biografia di Leila Khaled.

David Cronin, nato a Dublino nel 1971, è il corrispondente a Bruxelles dell’agenzia di stampa Inter Press Service. Ha inizialmente occupato questa funzione per il quotidiano irlandese The Sunday Tribune dopo aver lavorato come incaricato per la ricerca e addetto di stampa presso il Parlamento Europeo. Tra il 2001 ed il 2006, ha collaborato con European Voice, settimanale del gruppo The Economist.

Il libro di David Cronin, Europe’s Alliance with Israel : Aiding the Occupation, è pubblicato da Pluto Press (2010)

Traduzione a cura di Matteo Sardini


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